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di vittorio alfieri | 115 |
Tu di tua stanza1 appieno arbitra fossi,
11 Mai non saria fra noi distanzia messa.
Quindi or con quanto buon voler piú puossi,2
Mia solitudin porto; e vivo d’essa;
14 E prego Amor, che piú martír mi addossi.
CXIV [clxiii].3
Per la soppressione dell’Accademia della Crusca.
L’idïoma gentil sonante e puro,4
- ↑ 10. Di tua stanza, di stare dove meglio ti piace.
- ↑ 12. Il Petrarca (Rime, XVI):
Quanto piú pò con buon voler s’aita. - ↑ Il 7 luglio del 1783 Pietro Leopoldo I, granduca di Toscana, emanava un decreto, del quale riferisco la parte essenziale: «S. A. R., informata che l’Accademia Fiorentina, quella della Crusca e l’altra detta degli Apatisti, allontanatesi da quell’oggetto per cui furono istituite si trovano attualmente senza vigore ed attività, e volendo altresí che nella Città di Firenze sia animato e promosso con piú profitto lo studio delle Belle Lettere per cui si fa strada alle scienze, ha ordinato i seguenti provvedimenti. Che soppresse le tre suddette accademie ne sia formata una sola, la quale potrà denominarsi Accademia Fiorentina». Tale decreto può sembrare, a prima vista, arbitrario e anche odioso di fronte a Firenze, alla Toscana, all’Italia intera; ma, se si pensa che colui il quale lo emanò era uno de’ principi piú liberali vissuti in quella seconda metà del sec. xviii, che pur ne ebbe tanti, bisogna cercar del suo atto ragioni piú sodisfacenti, e forse colse nel segno Ferdinando Martini, allorché, commemorando nel gennaio del 1911 il centenario della ripristinazione della R. Accademia della Crusca, a proposito del decreto granducale del 1783, diceva: «Quella avversione [di Pietro Leopoldo] alla Crusca parrebbe inesplicabile, chi non considerasse l’indole dell’uomo e la condizione dei tempi. Cosí alle opere saggie come agli errori, Pietro Leopoldo fu persuaso dalle dottrine degli enciclopedisti: le quali nelle materie della lingua dovevano due anni dopo la promulgazione di quel motuproprio, avere plaudito illustratore e legislatore Melchior Cesarotti; quando già il Bettinelli augurava ai fiorentini compilatori del Vocabolario mezzo secolo di sonno ristoratore, e a Napoli il Galiani e a Milano i Verri e gli altri compilatori del Caffè, da tempo vantavano la solenne rinunzia alla purezza del parlare toscano.... Questi i tempi: all’uomo piaceva modellarsi su Federigo di Prussia e non può dirsi che nella scelta del modello sbagliasse: che Federigo ebbe la gloria (per usare le belle parole di Gino Capponi) di avere illustrato gli ultimi anni felici da Dio concessi alla Signoria dispotica. Ma il filosofo di Sans Souci nelle lunghe conversazioni col Maupertuis e col Voltaire pare disimparasse la propria lingua o imparasse a dispregiarla....» (L’Accademia della Crusca e Napoleone I, Firenze, Tip. Galileiana, 1911, 6 e segg.). Resta ora a spiegare un’altra cosa: come mai, solo tre anni dopo che l’editto era stato emanato, e precisamente il 18 marzo del 1786, l’A. scrisse il sonetto in difesa della soppressa accademia? Bisogna pensare, in primo luogo, che nel luglio dell’83 l’A. era fuori di Firenze, angustiato per tante ragioni, preoccupato prima dalla stampa delle sue tragedie, poi dalle critiche che si facevano ad esse, e che verso la metà d’ottobre lasciò l’Italia per recarsi in Inghilterra. Inoltre, l’A. dovette scrivere il suo celebre sonetto, quando gli Accademici della soppressa accademia avevano inutilmente tentata ogni via per far revocare il decreto, e mi inducono a supporlo quei due aggettivi del v. 5°: inesorabil, duro.
- ↑ 1. L’idioma gentil, sonante e puro è il fiorentino, di cui l’A. era andato tanto studiosamente in cerca, e per impadronirsi del quale, e per usarlo correttamente, sudavit et alsit. Quanto l’A. amasse la parlata de’ Fiorentini in ispecie,