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100 | rime varie |
Oh piú assai che Fenice amico raro,
Che amavi me, nulla da me volendo;
Che di vita tempravi a me l’amaro
4 Meco i miei studj e i pianti dividendo;1
Deh, sapess’io laudarti in stil sí chiaro,
Che dal sepolcro il tuo nome traendo,
Io nel mandassi riverito e caro
8 All’altre età, cui di piacer piú intendo!2
Ciò per te stesso far potuto avresti
Meglio assai ch’io, se avversi i tempi e il loco
11 Non t’eran, dove occulti dí vivesti.3
Ben d’ingiusta fortuna è crudo il giuoco;
Voler che il fango vile in luce resti,
14 E ignoto e muto il piú sublime fuoco.
XCIII [cxxvi].4
Nuova lontananza e nuovi dolori.
Eccomi solo un’altra volta, e in preda
Agli oscuri miei tristi pensamenti:
Ecco, e piú gravi, gli usati tormenti,
4 Cui sol chi prove avvien che veri creda.
- ↑ 4. Uomo amante del sapere in se stesso, il Gori non lasciò per altro opera alcuna alla quale fosse legato il suo nome, e lo dice l’A. nel cit. dial.: «Morto sei; né di te traccia alcuna in questo cieco mondo tu lasci, nol niego, per cui abbiano i presenti e futuri uomini a sapere con loro espresso vantaggio, che la rara tua luce nel mondo già fu. Ignoto ai contemporanei tuoi tu vivevi, perché degni non erano di conoscerti forse; e ad un reo silenzio mal mio grado ostinandoti, d’essere ai tuoi posleri ignoto sceglievi, perché forse la presaga tua mente, con vero e troppo dolore antivedea, che in nulla migliori delle presenti le future generazioni sarebbero». Fu veramente il Gori l’amico del cuore dell’A., e solo fra tutti, quando, nell’agosto del ’74, questi partí per raggiungere la Contessa a Colmar, seppe il vero scopo e la mèta del viaggio.
- ↑ 5-8. Ciò fece l’A. col dialogo La virtú sconosciuta, steso nel gennaio del 1786, — Il desiderio di vivere presso la posterità con fama piú rigogliosa che presso i contemporanei, è manifestato infinite volte nelle opere dell’A.: basti ricordare la chiusa del celebre sonetto Giorno verrà, tornerà giorno in cui.
- ↑ 9-11. Nel cit. dialogo il Gori stesso dice all’A., qual sia stata la ragione della sua inerzia, della sua ostinata contrarietà a volgere i proprii pensieri in iscritto: essa fu «che a ciò non m’essendo io destinato fin dalla prima età mia, le poche forze del mio ingegno tutte al pensare, e al dedurre rivolsi piú assai che allo scrivere; onde lo stile, quella possente magica arte delle parole, per cui sola vincitore e sovrano si fa essere il vero, lo stile mancavami affatto».
- ↑ Nel ms.: «Lasciata il dí 21 ottobre in Giovedí a Hüningen alle 6 e mezzo della mattina 22 ott. tra Wengarten e... Questa lontananza dal dí 21 ottobre 1784 al dí 16 settembre 1785». Nell’Autobiografia (IV, 14°) cosí scrive l’A. della sua nuova dipartita dalla Contessa: «Venuto il temuto giorno, bisognò obbedire alla sorte, ed io dovei rientrare in ben altre tenebre, rimanendo questa volta