rispondevati io; che de’ libri, benchè pochi
sian gli ottimi, e ch’io tali fatti mai non
gli avrei, bastanti pure ve ne sono nel
mondo, a chi volesse ben leggerli, per ogni
cosa al retto e sublime vivere necessaria
imparare. A ciò ti aggiungea; che ufficio
e dovere d’uomo altamente pensante egli
era ben altrimenti il fare che il dire; che
ogni ben fare essendoci interdetto dai nostri
presenti vili governi, e il virtuoso e bello
dire essendo stato così degnamente già preoccupato
da liberi uomini che d’insegnare
il da lor praticato bene aveano assai maggior
dritto di noi, temerità pareami il
volere dalla feccia nostra presente sorger
puro ed illibato d’esempio; e che viltà
mi parea lo imprendere a dire ciò, che
fare da noi non si ardirebbe giammai; e
che stolto orgoglio in fin mi parea l’offendere
i nostri conservi con liberi ed alti
sensi, che i loro non sono, poichè pur si
stanno; i quai sensi in me più accattati