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atto terzo 93



SCENA SESTA

Feréo, Adméto, Coro.

Feréo A travagliarmi ne’ tuoi mali, o figlio,

men vengo. Or tu, saggia e valente sposa
(chi ’l niegheria?) perdesti: eppur, quest’anco
di sopportar ti è forza, abbenché duro
insopportabil sia. Ricevi or dunque
questi ornamenti a seppellirsi eletti:
vuolsen fregiare il costei corpo: è dessa,
che pur morí per darti vita, o figlio;
che me non volle di mia prole orbato
veder marcire in lúgubre vecchiaja;
che al sesso tutto immensa laude, in somma,
recava, osando questa egregia impresa. —
O tu, che a me questo mio pegno hai salvo,
che noi cadenti rialzasti, ah mite
omai ti accolga di Pluton la reggia! —
Nozze eran queste; io ’l dico: e all’uom ben giova
o tali, o niune, celebrarne.
Adméto   A queste
esequíe tu, non invitato, or vieni:
né dirò, che il vederviti mi aggradi.
Niun de’ tuoi doni sará mai, che adorni
costei, che nulla al seppellirsi ha d’uopo
aver da te. Tu, condolerti allora
ch’io per morire stavami, dovevi.
Ma allor tu assente, i giovani lasciavi,
tu attempato, morirsene: ed or questa
tu piangeresti estinta? Ah, no, non eri
vero mio padre tu; né madre, quella
che pur di aver me dato in luce ha fama.
Di servil sangue io nato, il non mio latte
dalla consorte tua succhiai furtivo.