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atto secondo | 83 |
Eúmelo Padre, fanciullo abbandonato e solo
son dell’amata madre: oh quanti danni,
cui tu pur meco, o sorellina, avrai!
Invano, o padre, invan tu moglie hai tolta,
poiché con questa agli ultimi anni tuoi
pervenir non t’è dato: ella involossi
a tutti noi. Nel tuo perire, o madre,
nostra casa perí.
Coro T’è forza, o Adméto,
il sopportar questa sventura. Anco altri,
orbati fur d’ottime mogli: il sai,
ch’è a tutti noi necessitá la morte.
Adméto Pur troppo il so; né fu improvviso il colpo:
giá addolorommi, antiveduto pria. —
Ma, tomba or vuolsi a questo corpo. Innanzi
fatevi, o voi miei fidi: ite alternando
al crudo Inferno Nume inni lugúbri.
A’ miei Tessali tutti impongo intanto
per sí gran Donna il comun lutto. Ognuno,
reciso il crin, sue vesti abbruni; e tosto
le quadrighe si aggioghino, e ai corsieri
delle cervici il folto onor sia tronco:
muta ogni tibia sia, muta ogni cetra,
nella cittá, dodici lune intere:
ch’io mai, no mai, piú caro corpo in tomba
seppellirò di questo. Ella è ben degna,
ch’io l’onori altamente, ella che sola
volle in mia vece per mio amor morire.
STROFE I
or mi sii dalla reggia
dell’Orco grave d’ogni luce orbato.
Al tuo venir, si avveggia
il Nume atro-chiomato