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76 alceste prima
esce. Or, troncarci dobbiam noi giá il crine,

e l’atre vesti cingere?
Ancel.   Patente
la cosa ell'è: chiara è, pur troppo! Eppure1
noi pregherem gli Dei: massima sempre
è degli Dei la possa. O magno Apollo,
deh tu il ritrova un qualche almo soccorso
di Adméto ai mali: ah, sí; deh tu lo accorda;
deh, ce l’accorda tu! Salvo l’hai dianzi;
redimer puoi dunque da morte Alceste,
e al mortifero Pluto impor puoi freno.
Misero ahi tu, misero ahi quanto, o figlio
del buon Feréo! deh, come or vivrai privo
di tale sposa? ah, nel vederla in questo
giorno fatal su gli occhi tuoi morire,
non che amata, amatissima, tu stesso
ti ucciderai: laccio è tal vista orrendo. —
Ma, che veggio? ella vive? e a passo tarda
fuor della reggia col consorte inoltrasi! —
Piangi, o Feréa cittade, ulula, piangi:
da cruda tabe oppressa, a Pluto scende
delle consorti l’ottima. —
  Ah! no, mai,
non dirò mai, che il conjugale stato
abbia piú mel che assenzio; or, ch’io pur miro
a tal ridotto il Re. Qual vita poscia,
(quando ei pur viva) qual misera vita
orbo ei trarrá d’impareggiabil moglie!



  1. Pare, che l’Ancella, nel dire, e ripetere, che la cosa è manifesta, voglia accennare ch’essa tiene Alceste per morta. Ma siccome neppure si sa, se l’Ancella rientrasse alla reggia, o se rimanesse col Coro, il tutto riesce oscuro.