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52 antonio e cleopatra
Antonio sí, ma fu Romano ancora:1

ed a scemar li suoi nemici, Augusto
non implorò donnesca mano imbelle;
a tanto, mai, non abbassò se stesso:
i tradimenti ignoro; e son, pur troppo,
ai tradimenti avvezzi i re d’Egitto.
Cleop. Sí, sgombra il vel; la scellerata mente
del piú iniquo mortal m’è nota adesso.
L’empie lusinghe, e i tuoi mendaci detti,
di cui fu solo testimonio il cielo,
m’intesseranno i dí d’eterno pianto...
Ma non t’attesto, o ciel; di tai misfatti
consapevol non sei, o a non vederli,
sdegnoso il ciglio tu rivolgi altronde;
se ciò non fosse, e a chi sarian serbati,
quei, che l’empio scherní, fulmini vostri?
Augus. Non profanar del ciel con labbra impure
il sacro nome: agli empj ognor fu sordo.
T’appresta intanto a seguitarmi in Roma;
dell’atroce delitto a render conto,
t’appresta ancor; né la fallace speme
ti muova omai, ch’unqua impunita vada
d’un sí grande Roman la morte acerba.


SCENA TERZA

Cleopatra, Diomede, Ismene.

Cleop. O reo dolor! duol non sentito ancora!

Da rabbia, da furor, muta, ed oppressa
io schernita mi veggo, e fremo invano?...
Orride serpi, che al Gorgoneo teschio
avvolte siete, a me piú dolce fora


  1. Ecco un verso in vece di due. 1783:
    «Nemico a me, sí, ma Romano egli era».