è di quella d’Augusto: elle son pari
in bassezza, e d’egual tempra formate,
ne fu a danno di me fabro l’inferno.
Facea l’alto mio cuor troppo contrasto
colla viltá de’ vostri: itene alteri
del rapito trionfo, e vi scordate,
che dalla frode, e dall’orror l’aveste.
Di tiranno e di donna armi ben degne;
armi usate dei vili, a Antonio ignote.
Augus. Ma l’odiosa diffidenza, e il basso,
e vil sospetto, dei tiranni ancora
son l’armi usate; e ’l grande Antonio in oggi
dovria sdegnar d’accarezzarle in seno.
La diffidenza è sconosciuta a Augusto,
e in cuor d’altrui non l’eccitò giammai:
è colpevol Cleopatra, ma infelice;
sí, tutto in lei della nemica sorte
m’addita i colpi, e piú infelice ancora
mi par, che rea. Teco sul trono assisa,
ed ebri entrambo d’un insano amore,
di tuo splendor ella fu a parte un giorno:
piú sconsigliato ancor (poiché piú grande)
degli errori di lei tu fosti a parte.
Compiango Antonio, e lo vorrei felice
a costo mio. E la regina ancora
io pur, salva, vorrei ritrar da quella,
che l’avvenir le appresta orrida sorte;
e ciò nol posso.
Anton. Il puoi, lo devi, Augusto,
ed il farai, se apprezzi ancor l’onore.
Io non accetto l’orgoglioso dono,
che a me vuoi far, della metá del mondo;
il mondo cedo, e sol ti chieggo, in oggi,
che si serbi a Cleopatra il trono avito,
e che reggan l’Egitto i figli sui.
Per me non voglio, se non quanta terra