Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
atto quarto | 39 |
del simulato Augusto, altro non vidi;
se abbado poi al suo parlar fallace,
debole, ed empio un traditor vi scorgo.
Cleop. Ma quanto disse, e non pensò, potrebbe
piú sincero ridir oggi, e fra poco.
Diom. Oh quanto sei, per ingannar te stessa
ingegnosa, o regina! Ei viene, appunto:
eccolo. —
Cleop. Vanne: io rimarrò quí sola...
Ma che? palpiti, o cuor,... e non sei uso,
da lungo tempo a simular gli affetti?
Qual pieghevol serpente indaga il modo
di penetrar le tortuose strade
di quel core, che a te servo vuoi fare.
SCENA SECONDA
Cleopatra, Augusto.
che fu regina, ed or t’è fatta serva,
a un vincitor, di cui non fu nemica,
umil si prostri; e non fia vil l’omaggio,
se alla virtú, non a fortuna il presto.
Augus. Tu ricevi gli omaggi, e non gli presti. —
Cleop. E chi mai vide insuperbiti, o lesi
in ciel gli Dei, quando di puro incenso
fuman per nostra man i sacri altari?
D’aver prostrato alli tuoi piedi un rege,
non vai superbo, no, ch’altri n’avesti;
e molto men da’ miei sinceri voti,
un vincitor tuo par, può andarne offeso.
Augus. M’offendo, sí, se vincitor mi chiami;
di te nol son; se tal mi fea la sorte,
al mio desir ribelle, allor vedresti