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30 | antonio e cleopatra |
Per ischernirti, o sorte, assai m’avanza
quando restami un ferro a darmi morte.1
SCENA QUINTA2
Antonio, Augusto, Settimmio.
Augus. Antonio, a te qual vincitor non vengo.
Cieca la sorte, e a suo piacer fallace
dá gl’imperj talor, talor gli toglie,
e spesso a lei s’oppone invan virtude.
Sarei pur troppo de’ suoi doni indegno,
se n’andassi con te superbo, e altero:
le inimicizie, e gli odj, e le contese
spargansi fra di noi d’eterno obblio:
l’emolo di tua gloria in me non vedi.
Anton. Dacché fra noi si bipartí l’impero
del mondo tutto, e ch’io lasciai di Roma
- ↑ 1790. Ponendo, o sorte, in fin del primo, questi due versi non sarebbero cattivi in un’ottava: e quí son pessimi per la loro trivialitá, e uniformitá di armonia.
- ↑ 1790, Maggio. Per mio divertimento. — A voler provare cosa operi la locuzione, ho rifatto il piú de’ versi di questa scena senza mutarvi un pensiero; e ciascuno giudichi quale sia l’influenza dello stile.
AugustoAntonio, a te, qual vincitor non vengo.
Cieca la sorte, e a suo piacer fallace
dona talor, toglie talor gli imperi,
e invan si oppone a lei virtude. Indegno
sarei pur troppo de’ suoi doni, ov’io
teco altero ne andassi. Or via, fra noi
tacciano gli odj omai; né Antonio stimi
emulo omai della sua gloria Angusto.AntonioDa che fra noi si bipartiva il mondo,
e ch’io Roma lasciava, il ciel ne attesto,
altro che pace io non bramai. Ma, noto
troppo ben t’è, qual rimaneasi Roma
da che inondata di romano sangue
l’ebbero e Mario e Silla. Ah! da quel giorno
non fu piú Roma. Ogni virtú sua prima