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atto terzo 27
tutti del cielo attesterei li Numi,

e tutti invan, se me spergiura credi.
Attesterò l’amor, ch’avesti un giorno:
per quello sí, ch’era verace, io giuro,
ch’empia non son, che da’ miei mali oppressa,
dei mali tuoi solo mi affanna il peso.
Ma quel barbaro sprezzo, Antonio, è troppo;
e se i Romani tuoi fur vili, e infidi,
come ricade in me l’onta di loro?
Tu di regnar nell’arte esperto duce,
tu ravvisar dovevi i traditori,
che nel tuo campo...
Anton.   Il ravvisarli ognora
facile cosa non è; lo sguardo altero
della virtú, no, non s’abbassa a tanto.
Son l’alme grandi ai tradimenti inette,
e ai traditori in preda... Ecco l’istante,
ove smentir tu mi potrai coll’opre.
Antonio è vinto, e l’avvenir funesto,
e l’avverso destin, sol gli appresenta
catene, infamia, o morte. Egual fortuna,
poiché infida non sei, a te si aspetta.
Creder ti deggio al vincitor nemica,
e a me fedel? Ecco la prova estrema...
Donna, vivrai senza d’Antonio, e priva
sí dell’onor, come del regno; e in seno
di vil servaggio, i giorni tuoi tessuti
d’ignominia saran, di scherni, e pianti.
Disonor del tuo sesso, e in odio al mio,
da tutti invano implorerai pietade,
e la pietá perfin ti fia negata...
Se ti sapessi odiar, dolce vendetta
proverei nel serbarti a vita infame...
Ecco d’infausto amor l’ultimo dono,
ed a chi sente amor, forse il piú caro.
Ecco il ferro, o regina, in lui ravvisa