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atto secondo | 21 |
le menti nostre. A questi lidi Augusto
di fortuna sull’ali omai s’appressa:
né perciò tremo: alla difesa armati,
oggi a sicura morte andranno in campo
li fuggitivi avanzi d’Azio, imbelli:
ed io con loro. Il vincitor vedrammi
piú grande almen della mia sorte avversa,
colá vinto morir, ma non fuggire.
Regina, addio.
SCENA QUARTA
Cleopatra, Diomede.
Diom. Sta fra virtude, e amor l’eroe dubbioso.
Cleop. È l’odio ognora il primo d’ogni affetto,
allor ch’è figlio di sprezzato amore.
Egli piú non mi crede? ei piú non mi ama.
Ei mi disprezza? io giá l’aborro; e giuro
che il piú acerbo nemico...
Diom. Ove trascorri?
Chi infelice rendesti, insulti ancora?
Poiché l’Egitto ognor serbato ai lacci
deve servire all’un dei due rivali,
si elegga Antonio: è generoso, e grande;
debole, finto, e fier tiranno è Augusto.
Cleop. No, che all’Egitto son funesti entrambi...
Ed io frattanto, spettatrice oziosa
de’ miei scorni sarò, della rovina
di questo regno? Ah! no; non fia giammai;
* ove manca il poter, l’arte mi giovi.
Trionferò del vincitor, del vinto:
sí, tanto spero, e giá m’accingo all’opra;
tutto farò per ottenerne il fine.