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atto quinto | 243 |
amare e poche ghiande abbiti incerto
stentato vitto; e il rio ti mesca fiele:
crudi rimorsi il cor ti strazin sempre:
siati il Sole odíoso; orride larve
la spaventevol notte ti appresenti.
Cosí strascina i tuoi giorni infelici
in lunga morte. — Onnipossente Iddio,
tu, s’egli è giusto l’imprecar ch’io feci,
tu l’avvalora coll’eterno assenso!
La voce d’Iddio1
Uom, lasciato a te stesso, ecco qual sei. —
Ma bevuto ha la terra il sangue primo;
e udito ha il Cielo i vostri giusti omèi:
Caín fia tratto d’ogni orrore all’imo,
feroce esemplo spaventoso ai rei. —
Sfogato il pianto, dal terrestre limo
voi gli occhi ergete al Creator, che vuole
novella darvi e piú felice prole.
Eva Onnipotente Iddio, rendimi Abèle;
rendimi Abèle...
Adamo Donna, il pianger lice,
non il dolersi. Iddio parlò: si adori.
Eva Taccio, e l’adoro, in sul mio Abèl prostrata.2
7 Giugno 1796.
- ↑ Preceduta, e seguita da lampi e tuoni.
- ↑ Cadono entrambi prosternati; col volto su la terra, Adamo; Eva, sul morto figlio.