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16 | antonio e cleopatra |
* perché lasci tremare in faccia al reo?
* O fallace beltade, e come ascondi
* sotto angelico ammanto un cor protervo?
* Come a danno di noi ti serpe in seno
* tanta viltá, tanta perfidia, e frode?
SCENA TERZA
Cleopatra, Antonio, Diomede.
di lui sei tu?... è sogno?
Anton. Empia, son io.
Tu mi credevi estinto, e al falso grido
l’inumano desir ben s’accordava; —
* ma vivo ancor, né d’Acheronte il passo
* tragitterá l’alma d’Antonio inulta:
l’aspetto mio ti turba.
Cleop. E vuoi, o Antonio,
ch’io con sereno, e simulato viso
gioja ti mostri, allor, che il duol m’uccide?
Irato, bieco, minaccioso, e truce
or ti riveggo; e ti lasciai fedele,
tenero amante...
Anton. O donna ingrata, e rea;
non proferir sí dolci, e sacri nomi;
* furon lusinghe un dí, pria che tradito
* barbaramente tu m’avessi; ed ora
* involti ad arte infra mendaci labbri,
* son nuove offese: un traditor non sente
le divine d’amor fiamme nel petto,
e mal le finge.
Cleop. Ah! se d’amore in vece,
un sí barbaro cuor serbassi in seno,
disprezzerei l’ingiusto tuo furore.