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atto secondo 205
a ingombrarmi la mente: un sol tuo sguardo,

in cui d’amore e d’innocente gioja
scintilla il puro, ogni mio duol dilegua.
Se tu sapessi, con quanto piacere,
per te, pei figli io m’affatichi...
Adamo   Io scerno
te, dal non tuo fallir, Eva mia dolce,
piú che nol pensi, assai. Quel che ci apponi
candido latte alla frugale mensa,
candido è men del tuo tenero cuore.
Io chiedo sempre una figliuola a Dio,
che te somigli; onde altre figlie poscia
nascan, beando i pronipoti nostri,
come tu fai beato me.
Eva   La bramo
io, piú di te: compagna a me di sesso,
«figlia negli anni, ed in amor sorella»
sarammi, io spero: e l’indole sua mite
pari fia (cosí prego) alla leggiadra
indole amabil del mio Abèle.
Adamo   Ognora
piú per Abèl che per Caíno madre
ti vai mostrando: or, perché fia?
Eva   Tra queste
mie braccia Abèle io l’ultimo portava,
ei quindi in me piú tenerezza desta,
non giá piú amore. È ver, che s’io d’entrambi
madre non fossi, un non so che in Abèle
di piú innocente e docile, piú forza
fariami al cor, che il ruvido maschio aspro
contegno di Caíno. Or dimmi; un certo
non so qual tetro inesplicabil segno,
come se fosse una nube di sangue,
non ti sembr’egli pur tra ciglio e ciglio
veder scolpito di Caíno in fronte?
Adamo Occhi ho di padre: in ambo un figlio scorgo: