cel serberá. Debol non era ei forse
anche Caíno in sul fiorir suo primo?
Ed ei pur sol, senza fraterno aiuto,
la custodiva.
Eva È vero; ma di tanto
era minor la greggia nostra allora.
Adamo Ma in somma, poi ch’egli è voler sovrano
che in immenso propaghisi la nostra
prosapia; or vuolsi, antivedendo, a tutti
accertar l’esca con industre senno.
Eva Che mi rammenti, Adamo? ahi me infelice!
Son io cagion del faticoso ingrato
travaglio lungo, onde a sussister hanno
i tuoi figli e nepoti! Io mai non porgo
alla mia bocca il cibo a noi prodotto
dalle dure fatiche di Caíno,
ch’io non ne pianga, ed in me non mi adiri.
Adamo Parte di me, piú di me stesso cara,
altro dolor che il tuo sai ch’io non provo.
Pel nostro amor ten prego, a questo amaro
tosco non dare entro al tuo petto il loco.
Nulla fa invano Iddio. Se cosí è stato,
esser cosí dovea. Nulla a me duole
il presente esser nostro. Ozio e diletto,
lá nel terrestre Paradiso ameno,
troppo in ver ci assaliva. Or l’alta speme
di rieder lá, quando che sia; la speme
di un Paradiso meritar con l’opre,
che ai nostri orecchi balenava il tuono
della voce d’Iddio; sprone a laudarlo,
sprone al ben far, ne sará quella.
Eva Adamo,
oh qual dolcezza ne’ tuoi detti io scorgo;
qual veritá! la voce tua rischiara,
amabil raggio, e acqueta ogni tempesta
del mio cuore. Si affaccian molte nubi