Pagina:Alfieri, Vittorio – Tragedie postume, 1947 – BEIC 1726528.djvu/208

202 abèle
ch’è di spiccarti dal paterno lido.

Va dunque in terra, ed a null’uom perdona;
ma sempre arreca pria l’ultimo strido
ai men rei, che con mano accenneratti
questa, che fida norma ognor saratti.
  Entrambe intanto lo squallor natío
ammantate or di falso e blando aspetto:
tu, dai serpenti, un giovenil tuo brio
fingi, e in somma beltade un molle petto:
tu, dalla falce, le ignude ossa e il rio
tuo ceffo appiatta in matronale assetto:
madre e figlia parrete. A voi da presso
verrò lassú col mio figliuolo io stesso. —
  Sí, Dei d’Inferno, a ritornar mi appresto
anch’io lassú, col figlio amato al fianco.
Non fia tra voi, chi a mia possanza infesto,
me tacci omai d’Imperator non franco:
mandar potrei tal che al parlare è presto,
ma che all’oprar saría presto assai manco.
Io vado, vinco, e riedo: al tornar poscia,
darò a chi ’l merta col disnor l’angoscia.
Coro   Viva, viva il nostro Re.
  In lui senno, in lui coraggio;
  del suo popolo al vantaggio
  sempre sempre intento egli è.
  Viva, viva il nostro Re.
Una voce del Coro
  Duci, e Guerrieri,
  Cherubin neri,
  tutti a far corte,
  fin su le porte
  arroventate,
  su, tutti, andate
  dietro al magnanimo
  d’Inferno Re.
Coro   Viva il magnanimo
  d’Inferno Re.