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194 | abèle |
SCENA TERZA1
Lucifero, Astarotte, Belzebub, Mammona, Il Peccato,
Demonj che non parlano, Coro.
in brevi detti a voi narrare io deggio;
«cose, ch’io porto in cor gran tempo ascose,»
e me fan mesto in sul Tartareo seggio.
Quí non rammento il tristo dí, che pose
quaggiú noi prodi, in Ciel serbando il peggio:
della ingiustizia del Divin fattore
opra or vi svelo di piú rio rancore.
Quel bipede animal, del sozzo limo
creato in terra, ed a regnar sovr’essa
pur destinato fin dal nascer primo;
(benché pentito dell’opra sua stessa
sia ’l Creatore omai, s’io dritto estimo)
quell’animal, per piú nostr’onta espressa,
ora in terra non sol ventura ottiene,
ma in Ciel, quando che sia, salire ha spene.
E Dio il consente; ed al ben far gli è sprone
questa ardita speranza in cui si estolle;
come il timor d’esser fra noi, (cagione
primiera e sola) dal mal fare il tolle.
Tal di se stolta e audace opiníone
trargli è mestieri; e sbaldanzire il folle,
sí ch’egli aver fra noi l’ultimo loco
agli infami suoi falli estimi poco.
Questo mio primo e piú diletto figlio,
lassú lasciato a far valer mia forza
da ch’io dato ebbi ad Eva il gran consiglio,
e spogliata ivi mia squammosa scorza;
- ↑ Questa Scena ripiglia un recitativo come la prima, variata però sempre la cantilena a seconda dei metri.