un tribuno, che meco incontro ai Parti
un dí pugnò, indi rivolte ha l’armi
contro di me, era il nemico indegno
cui m’asservía la sorte; ei ben conobbe
* d’Antonio il volto, e non d’Antonio il braccio;
* alla debol difesa, e chi ’l ravvisa?
In sí meschino stato, allor non desto
che un’odiosa pietade, e un reo disprezzo
dell’inimico in sen: superbo, e altiero
di sí facile preda, intanto egli osa,
* e libertade, e vita a me donare...
O terribil rossor! o infamia atroce!
L’iniquo don, piú d’ogni morte amaro,
Antonio accetta: il vincitor rivolge
di giá le prore audaci, e invola seco
e l’onor tutto, e la virtude, e ’l lustro
di mie vittorie, e de’ trionfi miei.
Stupido allora il mio cammin prosieguo,
* ed alla estrema infamia alfin pervengo.
Vedi a qual prezzo io queste sponde afferro,
vedilo, e di’, se poi mi porta il cielo.
Diom. Tempra, o signor, troppa amarezza il gaudio,
che sí dolce provai nel rivederti.
La tua sorte compiango, e ’l duol divido.
Agli aspri colpi dell’avversa sorte
irrigidisci l’alma: amante invero,
ma pria d’amar Romano fosti...
Anton. Amico,
di giá t’intendo, ed arrossir mi fai,
se la virtú m’insegni, in me negletta,
ma estinta no: sfido il destin, gli Dei,
di vedermi da lor piú a lungo oppresso:
né con vani lamenti, o bassi voti
implorerò di tanti mali il fine;
sia qual si vuol, senza tremar l’attendo.
* Ma dell’indegno, e pur sí caro oggetto