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190 abèle
lascio la terra in cui me Dio non vuole;

e, disperato, all’orride latèbre
torno di queste incessanti tenèbre.
Lucifero   Ma, che festi lassú?
Come a’ miei cenni obbedisti, perverso?
Qual lusinga, qual arte, qual forza
da te adoprata fu?
Qual minaccia, qual ferro hai converso
contro quella per se sí fievol scorza
dell’uom di carne nato,
ed al peccar creato?
Quattro son soli infino ad ora in terra
i precursori delle umane genti.
Giá i duo primi parenti,
sol mostrandomi a lor, senz’aspra guerra,
molto fec’io dolenti.
Duo figli ad essi aggiunti,
spiranti aure di vita il Sole or vede,
e il fargli or tutti rei tua forza eccede?...
Il Pecc.   Troppo son tutti ancora in Dio congiunti.
Bench’egli, acceso in formidabil ira,
fuor dell’Eden cacciasse Adamo in bando,
non gli ha del tutto pur sua man sovrana
abbandonati a lor natura vana,
ma sovr’essi si aggira.
Di ciascun uomo, stassi al fianco sempre
un dei celesti messaggeri alati
dell’Eterno fattore;
che, abbagliante splendore
fa balenar nell’aure, ignudo brando
dall’infuocate tempre:
e noi, messi d’Inferno, saettati
dall’alta possa de’ vibranti rai,
lontani stiamo, attoniti, tremanti;
né ci dan loco mai.
Que’ vili schiavi del sovran comando,