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venuta a riaprire la necessarissima comunicazione fra l’intelletto e l’udito, che ora per disgrazia degl’Italiani si trova totalmente intercetta nelle loro platée.

Chi dunque volesse scrivere delle tramelogedie, (ove pure alcuno, persuaso da questa mia prova, intraprendesse ciò mai) dovrebbe da prima eleggersi soggetti rimotissimi da noi, di tempo, di costumi, e di luogo; ai quali si possa con verisimiglianza adattare il mirabile religioso, senza renderli troppo improbabili, o risibili. Dovrebbe poi usare una somma avvertenza nel distribuire l’episodico maraviglioso, che è la parte musicale, in tal maniera ch’egli venisse a servire all’effetto della tragedia senza guastarlo, ed anzi accrescendolo quanto sará possibile. E parimente nella parte tragica dovrebbe far sí, che ancorch’ella riceva alcuna influenza dalla parte episodica e maravigliosa, venga nondimeno a dominarla in tal guisa, che nessuno ponga in dubbio il primato della parte tragica su la parte musicale: ma che pure l’una coll’altra riescano coerenti e avviluppate talmente, che non si possa togliere l’Opera senza menomar la tragedia; né toglier la tragedia, senza annichilare il tutto. E non sará facile che io chiarissimamente mi spieghi per tutti, trattandosi di materia nuova, ed, in parte, dipendente dalla fantasia. Ma spero che per chi intende dell’arte, queste mie poche parole, comentate poi dall’Abèle che le segue, verranno a spiegare, o ad accennare l’intenzione dell’autore, col fatto.

Comunque poi si venisse a distribuire il poema, sarebbe avvertenza necessaria il fare il quint’atto tutto meramente tragico, non interrompendo né guastando mai la catastrofe con nessuna mistura melodica. Si potrebbe accrescerla bensí, appena ch’ella fosse eseguita, coll’aggiungervi alcuno squarcio melodico: ma sempre con molto giudizio; perché l’intenzione di questo spettacolo essendo di lasciare gli uditori occupati intellettualmente, e commossi di cuore, non giá di lasciarli colla semplice romba musicale negli orecchi, il termine dev’esserne tragedia assoluta. Anzi dalla destrezza dell’autore nel maneggiare queste due parti a dovere, ne avverrá che gli uditori stimando d’essere venuti all’Opera, si saranno, per cosí dire, senza avvedersene ingojata la tragedia; ma questa cogli orli del vaso inzuccherati, come appunto si dá la salute e la vita agli infermi fanciulli.

Io, quanto alla distribuzione, in questa tramelogedia ho voluto fare il prim’atto tutto Opera, il secondo tutto tragedia, il terzo ed