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prefazione dell’autore 183


sare e non pensare dell’Italia. Questa regione d’Europa giace presentemente in una quasi totale politica nullità, la quale moltissimo influisce su la sua o nullitá, o trista, o falsa esistenza morale, letteraria, e massimamente teatrale. Ciò essendo, o nessune, o pochissime tragedie, degne di un tal nome, vi si scrive; e nessunissima poi se ne recita mai mediocremente, perché non vi sono Attori, perché non vi sono spettatori, perché non vi sono né intendenti né pagatori. Avvezzi dunque gl’Italiani a marcir ne’ teatri, senza pure aver teatro, coll’Opera in musica hanno ritrovato uno stucchevole trastullo all’orecchio, che a poco a poco li ha poi fatti incapaci di esercitare in questi loro sedicenti teatri nessuna di quelle facoltá intellettuali necessarie per sentire, gustare, giudicare, od intendere almeno, una vera tragedia. Cosí, tutta orecchi, e niente mentale trovandosi essere la platea Italiana, da questi orecchiuti giudici ne scaturiscono dei vieppiú orecchiuti scrittori ed attori: onde per questa parte altresí, come per non poche altre, noi siamo giustamente il ludibrio del rimanente dell’Europa.

Questa sola ragione, giá fin dai primi miei anni letterarj, mi movea ad indagare, se non sarebbe stato possibile di presentare a sí fatta gente un misto spettacolo, in cui per mezzo degli orecchi usando una util fraude ai loro intelletti, si venisse ad infondere in essi il gusto della tragedia. Nel tempo ch’io scriveva (o credeva scrivere) delle vere tragedie, non volli ad esse frammischiare questo genere spurio, per non nuocere a quelle: onde di questo Abèle io feci l’ossatura soltanto: e cinque altre Tramelogedie ideai, riserbandomi poi, a tragedie finite, di eseguirle. Varie circostanze mi disturbarono questo mio disegno in appresso; sí che questa sola, che io mi trovava aver giá abbozzata, impresi a finire. Dell’altre cinque abbandonai totalmente il pensiere: perché, se il genere sará tale da poter riuscire, un altro scrittore potrá, migliorandolo, comporne molte altre sul modello di questa; se poi il genere non fosse eseguibile, sará molto meno male l’averne io fatta una sola, che sei.

Dopo sí fatto preambolo, mi rimane di dare alcuni schiarimenti su l’intenzione, sui mezzi, e su l’esecuzione di questo mostruoso spettacolo; e di spiegare con qual arte egli possa (come il puntello d’un edifizio, che a poco a poco tolto via, lo lascia poi puro e perfetto) servire, direi cosí, di mezzano al futuro gusto ed intelligenza della semplice e vera tragedia; la quale poi da se stessa a sostituirsi verrebbe alla tramelogedia, qualora questa fosse per-