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una total differenza nel numero e qualitá dei Personaggi; e successivamente poi leggendola tutta alla meglio, (con logorarvi sopra essa un Lessico) gli Atti, e le Scene, e i Cori, tutto ritrovai differentissimo essere dall’altra.

Quando ebbi dunque finita la traduzione dell’Alceste prima, mi accinsi immediatamente a tradurre quest’Alceste seconda. E siccome non mai si legge cosí scrupolosamente niun’opera, quanto nel doverla tradurre, io andava tuttavia ritrovando in questa seconda tragedia una quasiché ribollitura, direi, degli stessi pensieri, parole, immagini, ed affetti, ma sempre sotto altre forme impastati, e con molta diversitá distribuiti: talché io non ben sapeva, né so, qual idea critica formarmi di quest’Alceste, che ora mi pareva poter pur essere anch’essa di Euripide, ed ora no.

Ma, qual ch’ella si fosse, appena io n’ebbi terminata la traduzione, che giá giá non poco pavoneggiandomi di questa letteraria scoperta; e non avendo inteso che nessun dotto di Lipsia avesse finora mostrato di aver notizia di questa seconda Alceste di Euripide; io cresciuto in baldanza me ne stava covando una disertazione Latina (Dio sa come) da premettersi a questa traduzione; e pensavami di prolissamente corredarla di notizie Filologiche, Antiquarie e Lapidarie, e d’induzioni, e di congetture, e di varie lezioni sul manoscritto: individuando, se egli fosse cartaceo o membranaceo, di un tal secolo o di un tal altro; ed altre, ed altre, ingegnose a parer mio ed utilissime esercitazioni su l’arte Tragica, su la Tragedia degli antichi, sui Cori, e su tutto in somma quel ch’io mi credea di sapere, che avrebbero talmente accresciuto il volume di quest’Alceste cadetta, ch’ella vi sarebbe rimasta in aspetto di accessorio piú assai che di principale. Ma il giorno, (oimè!) in cui giá giá stava io per emettere quella dottrinevole disertazione, andai per riprendere il mio giojello manoscritto nella cassetta dove me lo soleva preziosamente custodire: ed, oh cielo! tutto ricercai, rivoltai, sconficcai il mio fedele scrittojo; fra tutti i miei libri e carte investigai con ostinata diligenza piú giorni, né mai piú mi venne fatto di rintracciarlo.

Disperato per una sí importante perdita, e stanco rifinito di tante e sí faticose ricerche, me ne andai finalmente a letto una sera. Ed ecco (effetto forse di troppo accesa o di troppo spossata fantasia) appena chiudeva io gli occhi, ecco che una testa di Euripide, la quale disegnata da amata mano appesa pende nella mia cameretta, pareva sorridendo guardarmi; e giurato avrei cosí tra