a lui ti accosta, o Donna; e, a ravvedersi
dell’error suo, tu sforzalo; tu fagli
sentir d’Alcide la possanza a un tempo,
e degli Dei.
Adméto L’audace piè tu arretra,
qual che ti sii pur tu. Crudo è l’oltraggio,
insopportabil m’è, quel ch’or mi fai
con la presenza tua. Sol’una Alceste,
una sola era in terra, infra i mortali:
eravi, oh cielo! e piú non è... Ma, s’anco
altra simile e pari ad essa i Numi
crear per me volessero, sol quella,
quella mia prima, ell’è la mia; né mai
altra al mio fianco... Oh ciel! che dico? Io fremo,
solo in pensarlo. Itene dunque or voi,
itene or tutti, deh! Che omai vi giova
d’intorbidarmi i miei pensieri estremi?
Teco, mia Alceste, teco, i brevi istanti
che di vita mi avanzano, vo’ trarre,
fin che s’adempia il giuro mio.
Ercole Ma quale,
qual dunque fu l’empio suo giuro?
Feréo Oh cielo!
Mentre or dianzi da noi tolta pur gli era
ogni via d’infierir contro se stesso,
egli in secura spaventevol voce
giurava, (e noi quí testimoni a forza
prendea del giuro) ai Celestiali Numi
giurava, e agl’Infernali; che piú mai,
né d’acqua pur semplice stilla al suo
labbro mai piú non perverrebbe: e aggiunse:
possibil tanto, ch’io rompa il mio giuro,
quant’è possibil che ritorni a vita
Alceste mai.
Ercole Compiuto dunque, o Adméto,
è il giuramento tuo: costei t’ha sciolto.