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atto quinto 169
di arrecarti promisi; ed io tel reco;

e non minor di qualunque altro al certo
attender mai tu osassi. Una adorata
fida compagna il Fato a te togliea:
or per mia man ti dona (e d’accettarla
t’impone) il Fato stesso altra compagna.
Adméto Ch’osi tu dirmi, Alcide?
Ercole   Eccola. Innoltra,
o eccelsa donna, il piede. Ascosa stassi
sotto codesto velo alta beltade:
e vie piú bella ancor l’alma si asconde
sotto le dolci spoglie; «un puro cuore,
con sublime intelletto; umíl costume,
in regal sangue»: i pregi tutti in somma,
che in donna il Ciel mai racchiudesse, or tutti
gli abbi in costei, pari ad Alceste almeno.
Adméto Donna ad Alceste pari? Udir degg’io
tal sacrilego detto? — Odimi, Alcide.
Se in te pur sempre io venerai di Giove
il figlio illustre; e se l’Eroe, l’amico,
con tanto amor, con riverenza tanta,
accolsi in te; spregiar, derider anco
dei tu perciò me disperato amante?
Ad un Eroe tuo par, si addicon elle
cotai scede in tal punto?
Feréo   Ah figlio! e in lui
non rispetti l’interprete dei Numi?
Adméto Se Adméto mai né reo né vile ai Numi
apparve pur, perché serbarlo or essi
a sí gran costo a vita orribil tanto?
Ovver, s’io degno m’era pur di morte
prematura, perché pigliavansi essi
per la mia vita la vita d’Alceste?
Per ucciderci entrambi. — E sia dei Numi
pieno il voler; purch’io mi muoja.
Ercole   Ardita