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158 alceste seconda
niuna di voi svelar si attenta il fatto

al tristo Adméto. Itene pronte, e mute,
sí, che lo stuol, che Adméto ivi circonda
in sua doglia sepolto, omai non possa
né osservarvi, né udirvi. E dell’eccelso
mio genitor, del sommo Giove, o Donne,
paventate lo sdegno (oltre il mio sdegno)
se intero intero questo mio comando
sagaci e in un discrete or non compieste.


SCENA SECONDA

Ercole, Feréo, Adméto, i figli d’Adméto,

e parte del Coro.

Ercole1 Spero; e non poco: ove pur giusto il Cielo

arrider voglia ai voti miei. Ma omai
fuor del cospetto nostro dilungatasi
la mesta pompa ell’è, che il semivivo
corpo accompagna. Il favorevol punto
quest’è, ch’io breve a favellar m’innoltri
all’infelice Adméto. — Adito dassi
ad un ospite antico?
Il Coro d’Adméto   Ercole!
Feréo   Oh Numi!
Chi veggio?...
Ercole   Adméto; Adméto; ergi, ten prego,
la fronte alquanto: or, deh, riapri il ciglio,
e un tuo diletto amico vero mira,
che del tuo morbo al grido ha tosto l’orme
ver te rivolte. E che? né un cenno pure
d’uom vivo dai? cosí tu accogli Alcide?
Adméto Chi d’Alcide parlò? Qual voce!... Oh cielo,
e fia ver ciò ch’io veggo? Ercole fido,


  1. In disparte.