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atto quarto 157
Ercole   Oh vista!

Che mi narrate, o Donne? Oh in ver sublime
unica moglie! Oh tra i mortali tutti
miserissimo Adméto! Ov’è? ch’io il vegga...
Il Coro d’Alceste
Deh, no; piú lá non inoltrar tu il piede:
dai sensi tutti Adméto ivi diviso,
ed esanime quasi, infra i suoi figli
stassene; a fianco il genitor Feréo
sol gli si appressa lagrimoso: or dianzi
a viva forza a stento egli staccavalo
dal collo della moglie moribonda:
or dal letargo suo se tu il traessi,
fia ’l peggio: in guisa niuna consolarlo,
né il potresti pur tu.
Ercole   Chi ’l sa? — Ma intanto
indugiar quí non vuolsi. Alceste, parmi,
viva è pur anco.
Il Coro d’Alceste   Un lievissimo spirto,
che appena appena vacillar farebbe
la sottil fiamma di lieve facella,
esce tuttor dal suo labro morente.
Ma, svanito ogni senso, appien giá quasi
chiusi son gli occhi; un gelido torpore
per ogni membro suo giá serpe...
Ercole   Basti,
che vista io l’abbia ancor di quá dall’onde
di Stige irremeabili. Voi tosto,
o fide Donne, or dunque in calda fretta
chetamente portatela per quella
piú segregata via, fin dentro al magno
tempio d’Apollo e di Mercurio. Quivi,
a quella sacra Profetessa antiqua
in mio nome affidatela; ed ognuna
di voi quí faccia immantinente poscia
ratto ritorno; e guai, s’anzi ch’io rieda,