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atto secondo 139
sposa adorata mia, sa il Ciel s’io t’ami;

e se ragion null’altra omai mi fesse,
a paragon dell’amor tuo, la vita
bramare: con te sola, a me fia dolce
i di lei beni pochi e i guai pur tanti
ir dividendo. Ma giovommi or forse
scampar da morte, quando a me sul capo
una qualch’altra ria sventura ignota
mi si accenna pendente? Né tu stessa
negarmel’osi. Io raccapriccio; e udirla
voglio; e d’udirla, tremo.
Alces.   Adméto, in vita
restar tu dei: scritto è nei Fati. È sacra,
e necessaria la tua vita a entrambi
i tuoi cadenti genitori; a entrambi
i tuoi teneri figli; all’ampio regno;
ai tuoi Tessali tutti.
Adméto   Alceste, oh cielo!
E tutti, a cui fia d’uopo il viver mio,
fuorché te stessa, annoveri? Che miro?
E il mal represso pianto al fin prorompe
su la squallida guancia? e un fero tremito
la lingua e tutte le tue membra in guisa
spaventevole scuote!...
Alces.   Ah! non piú tempo
è di tacermi: un sí funesto arcano
fia impossibil celartelo; né udirlo,
fuorché da me, tu dei. Deh, pur potessi,
misera me! com’io la forza e ardire
di compier m’ebbi il sacrosanto mio
alto dover, deh pur cosí potessi
gli effetti rei dissimularten meglio!
Ma imperíosa, su i diritti suoi
rugge Natura: oimè! pur troppo io madre
sono: e tua sposa io fui...
Adméto   Qual detto?...