sospendi ancora i voti tuoi. — Men giva
io dunque ratto della sposa in traccia;
quand’ecco, in su la soglia a me da fronte
appresentarsi in spaventevol forma
la Morte. In sul mio capo la tagliente
orrida falce ben tre volte e quattro
minacciosa brandisce; indi, con voce
di tuono irata: Adméto, grida, Adméto,
un prepotente Iddio per or t’invola
dalla non mai vincibil falce mia;
ma di me lieta riportar la palma,
nol creder tu. Vivrai, pur troppo: indarno
del Destino immutabile si attenta
romper Febo le leggi: or, sí, vivrai;
ma in tali angosce, che non mai vorresti
esser tu nato: il dí, ben mille volte
invocherai me fatta sorda allora
ai preghi tuoi, come finor tu il fosti
alle minacce mie, volente Apollo. —
Disse: ed un nembo di caligin atra
diffondendomi intorno, in un dirotto
pianto lasciommi semivivo. A stento
pria brancolando inoltromi per girne
fuor della reggia: e vieppiú sempre poscia,
quasi incalzato, io corro e non so dove:
Alceste chiamo, Alceste; ella non m’ode;
donne quí trovo, e un sagrificio intendo
apprestarsi a Proserpina: mi atterro
al simulacro suo: tremante stommi.
Che sperar? che temer? che dir? che farmi?...
Ah, padre! io son misero assai.
Feréo Che deggio
pur dirgli?... oh cielo!... Ma, che veggo? Alceste?
Oh figlio! oh figlio!