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8 antonio e cleopatra



SCENA TERZA

Cleopatra, Ismene, Diomede, Canidio.

Cleop. Canidio, e tu sempre d’Antonio a lato,

tu, che da lui pugnando eri indiviso,
premi quel suolo, ove Cleopatra impera,
senza saper di lui, né tremi?
Canid.   Ah! basta,
non dir di piú; quando un Romano è vinto,
* l’opprime il duol piú ch’ogni amaro detto.
Cleop. Ma la cagion della sconfitta intiera? —
Canid. Eran le turbe audaci al gran cimento,
come ben sai, giá preparate, e tutti
alla causa d’Antonio intenti, e fidi,
* fremean di rabbia, e di furor ripieni:
ogni indugio sdegnando, e sangue, e vita
* aveano a lui pria di pugnar donato.
Mal atto a raffrenar l’impeto altero
di tante squadre, e d’egual’ira acceso
* io stesso alfin, altro pensiero in mente
* non rivolgea, se non vendetta, o morte.
* Primo giurai, che di Farsalia il fallo
* Azio emendato avría; ma inutil voto!
Sorge improvviso un romor dubbio, e strano;
crescendo va, finché la rea novella
d’Antonio accerta l’incredibil fuga:
corre di bocca in bocca, e vanne a volo,
che sempre cosí van gl’infausti avvisi:
fu visto allora in un sol punto ognuno,
smarrita l’alma, errar tremante, e parve,
ch’involato n’avesse Antonio seco,
* quanta virtude, e quanto onor fu in loro.
Fugge il soldato al fine, e invan si tenta
* d’oppor di gloria il nome al reo timore.
Pallidi, sbigottiti, e sordi ai cenni