per la consorte indivisibil mia.
Pensa or tu dunque in quali atroci angosce
stommi, aspettando i detti tuoi; cui veggo,
ah, sí, ben veggo che di augurio infausto
qualcun del sangue mio percuoter denno.
Alces. Furare a Morte i dritti suoi, né il ponno
anco i Celesti. Con le adunche mani
ella giá giá stava afferrando Adméto,
vittima illustre: Adméto, unico erede
del bel Tessalo regno: in sul vigore
della viril sua etade; appien felice
nella reggia; e dai sudditi, e dai chiari
suoi genitori, e dai vicini stati,
venerato, adorato: e che dir deggio
poi, dalla fida Alceste sua? tal preda
certa giá giá la insazíabil Morte
teneasi; Apollo or glie la toglie; un’altra
(pari non mai, che pari altra non havvi)
in di lui vece aver debb’ella: e questa
esser dee del suo sangue, o a lui di stretta
aderenza congiunta; e all’Orco andarne
spontaneo scambio, pel risorto Adméto.
Ecco a quai patti ei salvo fia.
Feréo Che ascolto!
Miseri noi! qual vittima?... chi fia
per se bastante?...
Alces. Il fero scambio, o padre,
è fatto giá. Presta è la preda; e indegna
non fia del tutto del serbato Adméto.
Né tu, il cui santo simulacro in questo
limitar sorge, o Dea magna d’Averno,
disdegnerai tal vittima.
Feréo Giá presta
è la vittima! oh cielo! ella è del nostro
sangue; e tu dianzi a me dicevi, o donna,
ch’io rasciugassi il pianto mio?...