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atto quinto 113
Ercole Dunque or ti affrena, e moderatamente

il tuo danno sopporta.
Adméto   È assai piú lieve
gli altri esortar, che il sopportare i danni.
Ercole Ma poi, qual pro’, se tu in perpetuo piagni?
Adméto Anch’io stesso il conosco; e al pianto pure
sforzarmi Amore.
Ercole   Amar gli estinti, è pianto.
Adméto Perdeami Amore; ed è piú acerbo il male,
piú assai, ch’io dir nol posso.
Ercole   Ottima moglie
(chi ’l niegheria?) ti manca.
Adméto   Ottima, a segno,
che a quest’Adméto non sará in eterno
dolce la vita mai.
Ercole   Recente or troppo
la piaga: il tempo saneralla.
Adméto   Il tempo?
Ben dicesti: la morte.
Ercole   Un’altra donna,
e il desio d’altre nozze...
Adméto   Oimè! che parli?
Taci: da te non io ciò m’aspettava.
Ercole E che? non piú nozze mai dunque? ognora
vedove piume coverai?
Adméto   Non havvi
donna, che omai giaccia d’Adméto al fianco.
Ercole Ma e che? giovar cosí all’estinta or credi?
Adméto Ovunque aggirisi ella, il dover mio
è di onorarla.
Ercole   Io laudoti; ti laudo,
ma pur ne avrai taccia d’insano.1


  1. Il Testo dice: Ma tu di pazzia sei multato. Spiegando la metafora col senso piano, e adoprando il verbo al futuro in vece del presente, il traduttore a bella posta ha indebolita alquanto l’espressione dell’ospite.


 V. Alfieri, Tragedie postume. 8