Pagina:Alfieri, Vittorio – Tragedie postume, 1947 – BEIC 1726528.djvu/111


atto quarto 105
Coro Ma in nulla pur cosí l’estinta ajuti.

Adméto Oh me infelice!
Coro   Il non piú mai vedersi
davanti il volto dell’amata moglie,
trista cosa è pur troppo!
Adméto   Ahi! qual rimembri
nome, che il cor saettami! qual danno
aver può l’uomo in fatti, che pareggi
il perder ei l’amata moglie? Avessi,
celibe pur, non abitata io mai
questa reggia con essa! Oh fortunati
quei, che non figli ebber né moglie! Un’alma
sola han cosí; perderla quindi è lieve:
ma duol ben altro, e intollerabil vista,
dei figli orfani ell’è la inferma etade,
e il talamo da Morte devastato,
a chi potea né padre esser né sposo.
Coro Fato, ahi Fato invincibile!
Adméto   Ahi me misero!
Coro Ma non porrai tu meta niuna al pianto?
Adméto   Oimè! oimè!
Coro Grave, è vero, l’angoscia: eppure...
Adméto   Oimè!
Coro D’uopo è soffrir: non tu primier perdevi...
Adméto Ahi me lasso!
Coro   La sposa: altri, ne opprime
una qualch’altra manifesta doglia:
mortali siamo.
Adméto   O lunghi lutti, o dura
reminiscenzia dei sepolti amici,
deh, perché voi nella tomba profonda
precipitar non mi lasciaste? almeno
con quella egregia oltre l’egregie tutte
giacerei morto. Avute avriasi Pluto,
d’una in vece, du’ alme in saldi nodi
congiunte fedelissime nel varco