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atto terzo 97
Adméto Indole trista, e non virile, or mostri.

Feréo E in sotterrar tu il vecchiarello, forse
non rideresti?
Adméto   E sí morrai tu pure,
ma morrai senza gloria.
Feréo   A me non cale,
morto ch’io son, che che si dica.
Adméto   Ahi quanto
colma pur d’impudenza è la vecchiezza!
Feréo Non impudente la infelice Alceste
ti si mostrava, ma demente.
Adméto   Or vanne;
e questo corpo seppellir mi lascia.
Feréo Men vo. Ben dei tu seppellirla; uccisa
l’hai tu per certo: e il fio ne pagherai
a’ suoi parenti, tu. Che d’uom non merta
il nome Acasto, ah no, se in te vendetta
non fa del sangue dell’uccisa suora.
Adméto Male a te stesso, e alla tua moglie, accada:
qual vi si debbe, orbi invecchiate entrambi,
benché pur vivo abbiate il figlio. E in fatti,
meco mai piú, mai non daravvi albergo
un tetto istesso. Itene omai. Deh, fosse
lecito pur degli Avi tuoi la casa
farti interdir dal Banditore! al certo
io la t’interdirei. — Ma noi frattanto,
poiché il subir questa sventura è forza,
andianne: abbiasi il rogo il morto corpo.


SCENA SETTIMA

Coro.

O tu, infelice, generosa, ardita,

sovra le donne tutte ottima donna,


V. Alfieri, Tragedie postume. 7