* Della virtú, qual’è la forza ignota,
* se un reo neppur può tollerarne i guardi?
Ismene No, regina, non è sí reo quel core,
che sente ancor rimorsi.
Cleop. Ah! sí, li sento;
e notte, e dí, e accompagnata, e sola,
sieguonmi ovunque, e il lor funesto aspetto
non mi lascia di pace un sol momento.
Eppur gridano invan; nell’alma mia
servir dovranno a piú feroci affetti;
né scorgi tu, questo mio cuor qual sia.
* Mille rivolgo atri pensieri in mente,
ma il crudel dubbio, d’ogni mal peggiore,
vietami ognor la necessaria scelta.
Ismene Cleopatra, perché prima sciogliesti
l’Egizie vele all’aura, allor che d’Azio
n’ingombravano il mar le navi amiche?
* E allor che il mondo, alla gran lite intento,
* pendea per darsi al vincitore in preda,
chi mai t’indusse, a cosí incauta fuga?
Cleop. Amor non è, che m’avvelena i giorni;
mossemi ognor l’ambizíon d’impero;
tutte tentai, e niuna invan le vie,
che all’alto fin trarmi dovean gloriosa;
ogni passione in me soggiacque a quella,
ed alla mia passion, le altrui serviro.
Cesare il primo, il crin mi cinse altero
del gran diadema; e non al solo Egitto
* leggi dettai, che quanta terra oppressa
* avea giá Roma, e il vincitor di lei,
* vidi talora ai cenni miei soggetta.
* Era il mio cor d’alta corona il prezzo,
* né l’ebbe alcun, fuorché reggesse il mondo.
Un trono, a cui da sí gran tempo avea
la virtude, l’onor, la fé, donata,
non lo volli affidare al dubbio evento,