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atto terzo 93
Anco reo, (ch’ei non l’è) tu ne dovresti

pigliar, tu primo, or le difese. Io diedi
non dubbia a te dell’amor mio la prova,
nell’avversa tua sorte; or, nell’avversa
d’Agide, a lui nulla può tormi: o in ceppi
col tuo genero porre anco tua figlia,
o trarne lui, ti è forza: abbandonarlo,
per preghi mai, né per minacce io mai
non vo’. Di lui non piglierai vendetta,
che sopra me del par non caggia: il sangue
versar tu dei di quella figlia istessa,
che abbandonava, per seguirti in bando,
la patria, e il trono, ed il marito, e i figli.
Agesis. Oh vera figlia mia, non di costui!...
Spartana figlia e moglie, a non spartano
padre indarno tu parli. — Invidia vile,
vil desio di vendetta il cor gli chiude,
e il labro a un tempo. — E che diresti?... In core
tu giurasti, o Leonida, l’intero
scempio d’Agide, il so; tutti conosco
gli empj raggiri tuoi. Ma, se pur darci
morte potrai, (che la mia vita e quella
del mio figlio son una) invan tu speri
torre a noi nostra fama. A te la tua...
Ma, che dich’io? l’hai tu? — Scopo non altro
fu in te giammai, che di serbar col regno
le tue ricchezze, e accrescerle. Dell’oro
l’arte imparasti di Seleuco in corte,
e l’arte in un di sparger sangue. In Sparta
persian tu regni; e la uguaglianza quindi
dei cittadin paventi, onde ben tosto
ne sorgeria virtute; onde dal trono
di nuovo espulso appien per sempre andresti:
né il tuo cor osa a piú che al trono alzarsi.
Leon. Né le tue ingiurie l’animo innasprirmi,
né le tue giuste lagrime ammollirlo