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80 agide
madre, qual rechi a me dolor, l’udirti

trafigger la mia sposa! Ella, piú cara
che mai nol fosse, appunto a me si è fatta,
per la sua vera filíal pietade.
Madre, consorte, popolo, mi udite. —
Ho fermo in core di convincer oggi
anco i maligni, e gli invidi, e i piú rei,
ch’io della patria sono amator vero.
Ai cittadini, io cittadino e padre,
io cittadino e re, null’altro apparvi;
se non m’inganno io pur: ma in altri forse
da pria destai, con violenze, io stesso,
dubbio alcuno di me: fu quindi ascritto,
non a saviezza, a coscíenza rea,
e a vil timor di meritata pena,
questo mio scelto asilo. Agide n’ebbe
di volgar re la insopportabil taccia?
Qual sia ’l mio core, oggi il vedranno. Oh dolce
periglio a me, quel che affrontar m’è d’uopo,
per ischiarir qual bene io far tentassi,
e l’empia invidia di chi il ben non brama!
Per la pubblica causa io re mostrarmi
seppi, ed osai; per la privata mia,
oso anch’esser privato: e, non ch’io creda
convincer ora i tanti iniqui; in core
essi giá il son pur troppo; ma coprirli,
di Sparta tutta alla presenza, io deggio
di vergogna e d’infamia. Essi vorranno
accusar me, lo spero: io piú coll’opre,
che non co’ detti, a discolparmi imprendo:
soltanto a Sparta i miei disegni esporre
vo’ schiettamente pria, soggiacer poscia...
Popolo Tu soggiacer? no, mai non fia. Noi tutti
farem prestarti da quei vili orecchio...
Agide Non voi, deh! no: sol per mia bocca il vero
fará prestarmi orecchio. E, se a voi cale