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stile 393

Quell’usciranno, parola lunga, collocata in quella mezzana sede; parola, che accenna quasi cosa sicura una cosa dubbia, parve all’autore che portasse con se trivialitá d’espressione e di suono. Sostituitovi nel quarto l’uscir denno, il verso rimane di una cadenza piú sostenuta; e la parola denno vi riesce anche piú propria in bocca di Gomez, che parla alla regina dei figli futuri, cui egualmente potrá avere e non avere, ma che pure è desiderabile e probabile ch’ella abbia. Levando alla parola denno una sillaba, che viene a dar luogo alla parola quei, articolo non necessario di figli, si ha il terzo verso che non è difettoso quanto il secondo, perché quei sta vicino a figli, ma che pure quanto all’armonia (per quella che possa avere questo verso) riesce assai meno buono che il quarto.

E cosí come io con tediosa minutezza ho analizzato questi quattro versi, da cui ne è risultato uno solo, e comune, altri potrá ragionare, volendolo, su tutti, e cavarne la ragione dei diversi difetti od ammende, paragonando delle dieci tragedie la prima edizione con la seconda; e delle tre prime, la terza con la seconda e la prima. E cosí, mi pare, si potrebbe e dovrebbe ragionar sovra i libri, ove pure meritino una tal briga; e si verrebbe in tal modo a chiarir la ragione dei diversi stili nei diversi generi; e si verrebbero cosí a fissare esattamente i giusti confini dello stile naturale, del semplice, del ricercato, dello stentato, e del dignitoso; il quale in tragedia dee (se non m’inganno) essere il preferibile, e dee participare alquanto dei primi quattro; ma in tal modo pure, che i due viziosi non pregiudichino ai due buoni: talché insomma il naturale si venga a condire con una minima parte di ricercato, affinché triviale non sia; e che lo stentato perda il difetto del nome immedesimandosi al semplice quanto basti, affinché il semplice non paja cascante.

Do fine a tutto questo mio parere circa lo stile, come circa ogni altra parte delle presenti tragedie, col dire; che nello stile di questa edizione io ci scorgo pur anche quattro diverse gradazioni di tinte.

La prima, non del tutto ancora ripurgata, né forse mai ripurgabile dalla antica oscuritá e stento, mi pare di vederla nel Filippo, Polinice, ed Antigone, quali erano nella seconda edizione; che si sono poi ristampate intere: e in qualche parte ve la osservo ancora in questa stessa terza edizione delle tre mentovate tragedie, la quale finalmente rimane. E questi due difetti, oscuritá e