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384 parere dell’autore

sinceritá il censore assicura chi credere lo vorrá, che egli non scorge in questi caratteri né le stesse bellezze, né gli stessi difetti, che gli pare di scorgere negli altrui personaggi; perché in tutto sono essi concepiti diversi. E, riassumendo in poche parole quanto ho detto lungamente finora, e parlando ad un tratto e come censore e come autore, conchiudo quanto alla invenzione delle presenti tragedie, ch’elle potranno esser forse, o parere, mediocri, ed anche se si vuole, cattive; ma che non potranno elle mai esser giudicate non mie.

SCENEGGIATURA

Ecco che, fra i difetti della sceneggiatura risultanti da questa maniera d’inventare e di condurre la favola, giá giá odo dai piú annoverar come il primo, e capitalissimo, la frequenza dei soliloquj. E questa frequenza certamente è difetto; ma non vien riputata uno dei maggiori per altra ragione, fuorché per esser questo uno dei difetti piú facili a esser rilevati da chiunque. Né io lo voglio affatto difendere, né interamente condannarlo coi piú. Credo, che nelle arti sia piú sana ed utile cosa il ragionare, che il sentenziare. Ripetiamo da prima quasi Eco, la voce dei piú: «Il soliloquio è cosa fuor di natura, inverisimile, e stucchevole; il troppo usarne è una manifesta prova, che l’autore non saprebbe tirarsi innanzi senz’essi». Ragioniamo ora su questo grido. Il soliloquio d’un uomo fortemente appassionato, e che medita qualche grande impresa, non si può dire fuor di natura né inverisimile, poiché tutto dí noi ne vediamo in natura la prova; né si può dire stucchevole, allorché sia appassionato, e non lungo. Ciò posto, molte cose in una tragedia e massime nel principio di essa, sono necessarissime a dirsi per esporre, motivare, e progredire l’azione. Ora io domando, se un soliloquio di persona importante e appassionatissima, un soliloquio rotto, pieno, breve, e accennante piuttosto che narrante le cose, non debba riuscire piú caldo, meno stucchevole, e altrettanto probabile, quanto una lunga scena tra quel personaggio importante e un personaggio subalterno, il quale invano tentando di riscaldare se stesso alla fiamma dell’altro, in vece di ciò, e l’altro e se stesso e gli spettatori raffredda; perché costui non è, né può essere, in pari coll’attore primario, né per quel ch’ei sente, né pel modo con cui lo esprime, né per quello ch’ei dice, né pel modo pure con cui lo recita. Codesto subalterno non