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che dicano e mostrino essi di essere o di volersi far grandi, un certo splendore del nome che per essi giá dica che il sono, e che esserlo debbono. Né l’autore tragico che è uno solo, e che debbe ai molti piacere, può quindi farsi a combattere questa opinione, (o vera o falsa ch’ella sia) per cui gli uomini non accordano nobiltá e grandezza in supremo grado alla istantanea e semplice virtú. Se da una aristocrazia si dovesse estrarre un re elettivo, chi ardirebbe proporvi per re un uomo ignoto a tutti fino a quel punto? e, propostolo pure, chi nel vorrebbe creder mai degno? niuno al certo, finché le sue vere virtú conosciute e provate non valessero a far forza a tutti. Cosí, quella tragedia che si raggira sopra un fatto ignoto, e con nomi, o ignoti, o non ancora illustrati, non può far forza alla opinione, finché non è stata riconosciuta per ottima. E siccome questo non si ottiene mai né in una rappresentazione o lettura, né in due, mi pare piú savio assai (viste le tante altre difficoltá che giá sono da superarsi in quest’arte) di non andarsi a cercare gratuitamente quest’una di piú. E ciò credo io, e lo affermo con tanto piú intera persuasione, quanto vedo che si va incontro a una maggiore difficoltá per ottenerne una lode minore: atteso che io reputo molto piú facil cosa l’inventare a capriccio dei temi tragici, che il pigliare, e variare, e far suoi i giá prima trattati. E con queste parole, far suoi i temi giá prima trattati, ardirei io (benché non sappia quasi nulla il latino) d’interpretare quel notissimo passo di Orazio nella poetica:

Difficile est proprie communia dicere;

passo, che per una certa sua apparente facilitá viene saltato a piè pari da tutti i commentari, e dai piú dei lettori inteso appunto all’opposto. Questo pensiero mi par nondimeno assai piú giusto, piú pregno di cose, e quindi piú degno di Orazio: ma pure io per avventura in questo m’inganno.

Contra l’uso mio, mi sono quí oltre il dovere allargato a dir quello che non era forse necessario al proposito; ma potendo ciò non riuscire inutile affatto per quelli che professan quest’arte, ve lo lascio, e alla tragedia ritorno.

Rosmunda, è carattere di una singolare ferocia, ma pure non inverisimile, visti i tempi: e forse non del tutto indegna di pietá riesce costei, se prima che alle sue crudeltà, si pon mente alle crudeltá infinite a lei usate da altri. Ove se le fosse dato un piú

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