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don garzia 347

anche non escusabili. L’autore nondimeno, atteso lo sviluppo di alcune importanti e utilissime passioni che gli ha prestato questo soggetto, per nessuna cosa del mondo vorrebbe non l’aver fatta.

Se il luogo della scena di questa tragedia, in vece di essere la moderna Pisa, fosse l’antica Tebe, Micéne, Persepoli, o Roma, questo fatto verrebbe riputato tragico in primo grado. Un fratello che uccide il fratello, e un padre che vendica l’ucciso figlio coll’ucciderne un altro; certo, se mai catastrofe vi fu e feroce, e terribile, e mista pure ad un tempo di somma pietá, ella era tale ben questa. Ma pure, mancandovi la grandezza vera dei personaggi, e la sublimitá delle cagioni a tali inaudite scelleratezze, viene il soggetto a perdere gran parte della sua perfezione. Ho fatto quanto ho saputo per sublimare queste cagioni, frammischiandole coll’ambizione di regno: ma per lo regno di Firenze e di Pisa, non si può mai tanto innalzare un eroe, che a chi lo ascolta egli venga a parere veramente sublime. Tale è l’errore dei piú; facilmente pare esser grande colui, che ad una cosa grandissima aspira; e inutilmente vuol farsi creder tale, anche essendolo, colui che aspira ad una molto minore. Al fatto ho aggiunto del mio (di che talvolta me ne vergogno non poco) quel terzo fratello, che essendo il solo scellerato davvero, cerca, come il Creonte nel Polinice, di seminar discordia per raccoglierne regno. Quest’aggiunta mi era necessaria per condur la mia tela, e per dare alla dissensione per se stessa generosa dei due fratelli, quel fine ad un tempo scellerato e innocente ch’ella ebbe: tutto ciò accresce certo l’orrore di questa tragica orditura, e riesce, se non altro, adattatissimo almeno ai tempi, ai costumi, e agli eroi di cui tratta.

Questo fatto storico viene da alcuni per stitichezza negato, o minorato d’assai. Ma ciò pochissimo importa al poeta, che sopra una base possibile e verisimile, da molti narrata e creduta, e quindi al certo non interamente inventata, ne posa la favola, e ad arbitrio suo la conduce. Certo è, che codesti due fratelli ebbero rissa fra loro; che morirono in brevissimo tempo amendue, e la loro madre sovr’essi; e che i loro corpi furono di Pisa arrecati tutti tre ad un tempo in Firenze. Se ne mormorò sommessamente, e con terrore moltissimo, in tutta Toscana; ma nessuno