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grado mio la mia natura imperiosamente lo vuole) è sempre di camminare, quanto so, a gran passi verso il fine; onde tutto quello che non è quasi necessarissimo, ancorché potesse riuscire di sommo effetto, non ve lo posso assolutamente inserire.

Dal totale di questi caratteri me ne risulta una tragedia, temo, di non molto caldo affetto, in cui l’orrore predomina assai su la pietá; e questo sará per lo piú il solito difetto delle presenti tragedie. Vi si aggiunga la troppa modernitá del fatto, per cui questi Carli e Filippi non sono ancora consecrati nei fasti delle eroiche scelleratezze; e che, per non esser consecrati ancora dal tempo, costoro suonano assai meno maestá negli orecchi, che gli Oresti, gli Atréi, e gli Edippi; e quindi pajono sempre aver presa in accatto la grandiloquenza.

Nella condotta del Filippo ci è pur anche dell’intralcio, ed ella mi sa di rappezzatura. Essendo questa la seconda tragedia ch’io scriveva, e pochissima pratica avendo io allora dello sceneggiare, non potrei certo dar sempre plausibil ragione di ciascuna scena. Il terzo e quart’atto serbano ancora, nella loro non esatta connessione presente, alcun vestigio dell’essere stati altrimente prodotti; il quarto era terzo, e il consiglio stava nel quarto. Queste cose non si raggiustano mai benissimo, e tutto quello che non nasce intero di getto, si dee poi sempre mostrar difettoso agli occhi di chi acutamente discerne.

Circa alla catastrofe di questa tragedia, io rimango molto in dubbio, se ella stia bene o male cosí. Bisognerebbe ch’io la vedessi ottimamente recitata piú volte, per ben giudicarne. Quel che mi pare a lettura, e che sul totale mi pare d’ogni mio quint’atto, si è, che le catastrofi, nel solo stampato non ajutate dall’azione, non possono ottenere, né per metá pure, il loro effetto; essendo fatte assai più per gli occhi, che per gli orecchi. Ma di questa principalmente mi pare, che, o ella dovrá riuscire terribilissima, e non senza pietá frammista all’orrore; ovvero, per la fredda atrocitá di Filippo, riuscirá fastidiosa fino alla nausea. Del che ne dará poi sentenza il tempo, e quel pubblico, che dopo me la vedrá ottimamente recitata.