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262 mirra
di offesi Numi a un lagrimar perenne

la condanna innocente, aggiunger deggio
l’ira d’un padre a sue tante sventure?
E abbandonata, e disperata, a lunga
morte lasciarla?... Ah! mi si spezza il core...
Pure, il mio immenso affetto, in parte almeno,
ora è mestier ch’io, per la prova estrema,
le asconda. In suon di sdegno ella finora
mai non mi udia parlarle: il cor sí saldo,
no, donzella non ha, che incontro basti
al non usato minacciar del padre. —
Eccola al fine. — Oimè! come si avanza
a tardi passi, e sforzati! Par, ch’ella
al mio cospetto a morire sen venga.


SCENA SECONDA

Ciniro, Mirra.

Ciniro — Mirra, che nulla tu il mio onor curassi,

creduto io mai, no, non l’avrei; convinto
me n’hai (pur troppo!) in questo dí fatale
a tutti noi: ma, che ai comandi espressi,
e replicati del tuo padre, or tarda
all’obbedir tu sii, piú nuovo ancora
questo a me giunge.
Mirra   ... Del mio viver sei
signor, tu solo... Io de’ miei gravi,... e tanti
falli... la pena... a te chiedeva;... io stessa,...
or dianzi,... quí... — Presente era la madre;...
deh! perché allor... non mi uccidevi?...
Ciniro   È tempo,
tempo ormai, sí, di cangiar modi, o Mirra.
Disperate parole indarno muovi;
e disperati, e in un tremanti, sguardi
al suolo affissi indarno. Assai ben chiara