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236 mirra
sovra il canuto mio capo cadeva.

Vuoi piú? gli occhi alla immagine tremanti
alzar mi attento, e da’ suoi piè mi parve
con minacciosi sguardi me cacciasse,
orribilmente di furore accesa,
la Diva stessa. Con tremuli passi,
inorridita, esco del tempio... Io sento
dal terrore arricciarmisi di nuovo,
in ciò narrar, le chiome.
Mirra   E me pur fai
rabbrividire, inorridir. Che osasti?
Nullo omai de’ celesti, e men la Diva
terribil nostra, è da invocar per Mirra.
Abbandonata io son dai Numi; aperto
è il mio petto all’Erinni; esse v’han sole
possanza, e seggio. — Ah! se riman pur l’ombra
di pietá vera in te, fida Euricléa,
tu sola il puoi, trammi d’angoscia: è lento,
è lento troppo, ancor che immenso, il duolo.
Euric. Tremar mi fai... Che mai poss’io?
Mirra   ... Ti chieggo
di abbrevíar miei mali. A poco, a poco
strugger tu vedi il mio misero corpo;
il mio languir miei genitori uccide;
odíosa a me stessa, altrui dannosa,
scampar non posso: amor, pietá verace,
fia ’l procacciarmi morte; a te la chieggio...
Euric. Oh cielo!... a me?... Mi manca la parola,...
la lena,... i sensi...
Mirra   Ah! no; davver non m’ami.
Di pietade magnanima capace
il tuo senile petto io mal credea...
Eppur, tu stessa, ne’ miei teneri anni,
tu gli alti avvisi a me insegnavi: io spesso
udía da te, come antepor l’uom debba
alla infamia la morte. Oimè! che dico?... —