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atto primo 169
e tal m’infinsi, infra i tiranni ognora

servo vivendo, per sottrarre a un tratto
la patria, e me, dai lor feroci artigli.
Il giorno al fin, l’ora assegnata all’alto
disegno mio dai Numi, eccola, è giunta.
Giá di servi (che il foste) uomini farvi,
sta in voi, da questo punto. Io, per me, chieggo
sol di morir per voi; pur ch’io primiero
libero muoja, e cittadino in Roma.
Popolo Oh! che udiam noi? Qual maestá, qual forza
hanno i suoi detti!... Oh ciel! ma inermi siamo;
come affrontare i rei tiranni armati?...
Bruto Inermi voi? che dite? E che? voi dunque
sí mal voi stessi conoscete? In petto
stava a voi giá l’odio verace e giusto
contro agli empj Tarquinj: or or l’acerbo
ultimo orribil doloroso esemplo
della lor cruda illimitata possa,
tratto verravvi innanzi agli occhi. Al vostro
alto furor fia sprone, e scorta, e capo
oggi il furor di Collatino, e il mio.
Liberi farvi è il pensier vostro; e inermi
voi vi tenete? e riputate armati
i tiranni? qual forza hanno, qual’armi?
Romana forza, armi romane. Or, quale,
qual fia il Roman, che pria morir non voglia,
pria che in Roma o nel campo arme vestirsi
per gli oppressor di Roma? — Al campo è giunto,
tutto asperso del sangue della figlia,
Lucrezio omai, per mio consiglio; in questo
punto istesso giá visto e udito l’hanno
gli assediator d’Ardéa nemica: e al certo,
in vederlo, in udirlo, o l’armi han volte
ne’ rei tiranni, o abbandonate almeno
lor empie insegne, a noi difender ratti
volano giá. Voi, cittadini, ad altri
ceder forse l’onor dell’armi prime