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130 sofonisba
ei non vuol sopravvivere.— Ma, sia

di lui che vuole, odi, o Scipion, miei sensi. —
Caldo e verace amico a lunga prova
tu conosciuto hai Massinissa: or sappi,
che al par verace e ancor piú ardente amante,
nullo ostacolo ei cura. In cor numída
non entra mai tiepida fiamma: o sposo
io sarò dell’amata Sofonisba,
o con lei spento. Entro al tuo campo io stesso
mi affrettai di condurla: era quí solo
pago appieno il mio cor; quí ad alta voce
gloria, onore, amistá, virtú mi appella;
senza tradire l’amor mio, quí spero
tutti adempir gl’incarchi miei. Dal duce,
e in un dal fido amico, udir vogl’io,
come Cartagin debellare affatto
si debba omai; come possanza e lustro
debba accrescersi a Roma, e gloria a noi;
e come, in fin, me far felice io possa.
Scip. Piú che d’unico figlio, a me (tel giuro)
duol del tuo cieco giovenile errore,
che travíar ti fa. La gloria nostra,
la possanza di Roma, la imminente
total rovina di Cartago, e l’alta
felicitá tua vera, in noi ciò tutto
stava finora; anzi che vinto in Cirta
tu soggiacessi a femminile assalto:
ma, tutto a te tolto hai tu stesso, e a noi,
coll’amor tuo fatale. — Ma no; sordo
esser non puoi di tua virtude al grido;
esser non puoi contra Siface istesso,
ingiusto tu; né mai crudel né ingrato
al sol tuo amico esser tu puoi. La vita
di Siface or condanna, e rompe, e annulla
questo amor tuo: né mai...
Massin.   Né mai?... Quest’oggi