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atto quarto 97
introdur quí sen può, quanta n’è d’uopo

a nostre mire. Havvi all’entrar chi veglia,
e in copia ammette i nostri fidi. — Or mira;
giá piú che mezzo è riempiuto il loco;
né alcun v’ha quasi degli avversi a noi.
Per anco il grido non s’è sparso appieno
del gran giudizio: e spero, anzi che giunga
a intorbidarlo con sua fera scorta
l’ardita madre, avrem compito il tutto.
Leon. Ma, sei tu certo, che tornarne a danno
or non possa tal fretta?
Anfar.   Oltre la nostra
dignitá, stan per noi forze non poche.
Grande accortezza, or nell’espor le accuse,
vuolsi; e giusti mostrarci ai nostri stessi
dobbiamo, e del lor ben, piú che del nostro,
caldi amatori. Alcun tumulto forse
insorger può; previsto è giá. Ma basta
per noi, che piú non esca Agide vivo
di queste mura. Al primo impeto audace
della plebe far fronte i tuoi soldati,
e i cittadini nostri appien potranno,
e degli efori il nome, e l’ardir tuo.
Tempo intanto si acquista; e avrem dal tempo
piena poi la vittoria...
Leon.   Ecco il senato;
ecco gli efori tutti: il popol molto
li segue, e par non torbido in aspetto;
lieto anzi par di assistere all’accusa
di un re sovvertitore. Ardire, ardire.
Mentr’io gli animi lor, con opportune
lusinghe adesco, al carcer entra, e in breve
Agide a noi ben custodito traggi.


V. Alfieri, Tragedie - III. 7