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atto quarto 41
dal mio cospetto.

Ildov.   Vadasi. Il tuo aspetto
fia la sola mia pena. — Ov’io non deggia
piú vederti, o Romilda, in un l’estremo
addio ti lascio, e il saldo giuramento
d’eterno amore, oltre la morte...


SCENA TERZA

Romilda, Almachilde.

Romil.   Ah! spenta

cadrotti al fianco... Il vo’ seguire... Infame,
tu mel contendi? Ad ogni costo...
Almac.   Ah! soffri,
ch’io, sol per poco, or ti rattenga.
Romil.   Oh rabbia!
Oh dolor!... Lascia, al fianco suo...
Almac.   Mi ascolta.
Romil. Troppo giá t’ascoltai... L’amante...
Almac.   Or vedi,
seguir nol puoi;... ma, non temere: io il serbo
a libertade, a vita; e a te fors’anco,
mal mio grado, lo serbo. In carcer crudo
tratto ei non fia: da me niun danno, il giuro,
ei patirá. Ben io il rimembro; in vita
per lui son oggi: or passeggera forza
gli vien fatta. — Ma,... oh ciel!... lasciar rapirmi,
sol ben ch’io m’abbia al mondo, la tua vista!...
Romil. Ancor d’amore?... Ah! che non ho quí un ferro,
onde sottrarmi a’ detti tuoi?
Almac.   Deh! scusa;
piú non dirò. Spero, ampiamente, in breve,
del picciol danno ristorar tuo amante;
(ahi nome!) e spero in un seco disciormi
di quanto mai gli deggia.