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394 don garzia
di Giulia, quasi ella fosse morente,

me mal mio grado innanzi ha risospinto.
Al calpestio de’ passi miei si volge
Salviati intanto; e verso me ritorna.
Ecco ch’io giá l’infame acciar gli ho tutto
piantato in core... Un sol sospir di morte
cadendo ei manda... Ahi lasso me!... Di sangue
spruzzar mi sento: orrido un gel mi scorre
entro ogni vena;.., io... per poco... non cado
sul corpo suo... Me misero!... L’uscita
di quella tomba orribile... a gran pena
trovo, con man tentando... Udisti? — Or, godi.
Piero Deh! perché tal mi credi? — Almen benigna
ti fu la sorte in ciò, ch’io sol ti vidi
uscir di lá. — Ben saprá poscia il padre
a sua posta adombrar tal morte. Il tempo
tutto cancella: anco il dolor poi cessa.
Se il padre il volle, è suo il delitto: averne
tu dei mercé, non onta; oltre, ch’ei primo
vorrá celarlo sempre. — Or, deh! ti acqueta:
lieve è il delitto, che a null’uom fia conto.
Garzia Mercede a me? morte a me sol si debbe.
Dove mi ascondo omai? Questo innocente
sangue, ond’io son contaminato e intriso,
chi ’l può lavar? non il mio inutil pianto,
non del mio sangue il può l’ultima stilla. —
Vanne tu al padre; il suo pugnal gli arreca;
abbine tu mercede. Il fero messo
tu di morte inviasti: in te godevi,
perfido tu, ch’io divenissi infame,
scellerato, qual sei. Tu ben di Cosmo
figlio sei vero. Va; lasciami. — Oh cielo!
Dove fuggir?... Dove mi ascondo?... Ah! come
omai di Diego sosterrò gli sguardi,
or che a buon dritto ei traditor nomarmi
potrá? di Diego, che per se non fora