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390 don garzia
benché contro mia voglia, affin che tratto

lá il genitor da te non sia: vendetta
troppa ei farebbe.
Piero   Ah! sí; ne tremo anch’io:
eppur, n’è forza antiveder gl’iniqui
disegni altrui... Ma, un romor... Parmi;... è desso:
vien lentamente;... egli è Garzia. — Deh! vanne;
entra non visto; il passo affretta.


SCENA SECONDA

Piero.

  Al fine

ei pur v’andò. — Celiamci; e udiam, se fermo
sta in suo pensier quest’altro. —


SCENA TERZA

Garzia.

  Oimè? chi spinge

miei passi quí?... Dove son io?... Di morte
ben è la grotta quella. A nobil pugna
in ver, Garzía, ti accingi. Oh ciel! che imprendo?...
Innocenza, che sola eri il mio vanto,
giá non sei meco piú: l’infame colpo
vibrar promisi... E il vibrerò?... Giá tutto
quí intorno intorno morte mi risuona:
e a me solo dar morte or non poss’io?...
Oh destin fero!... Giá giá le negre ombre
tutto velano: è giunta, anco trascorsa,
l’ora fatal: certo, di morte il messo
Piero spedia; qual dubbio? indugia Piero
a far mai cosa, che altrui nuocer debba?
Volò l’avviso traditor, pur troppo!...